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Live Aid: 40 anni dopo

Il 13 luglio 1985 accadde qualcosa di irripetibile. Non un concerto. Non un evento musicale. Ma il concerto dei concerti, quello che ha definito per sempre cosa vuol dire unire musica, media e coscienza collettiva. Se hai meno di 50 anni, forse ne hai sentito parlare da un genitore, da un documentario, o guardando Bohemian Rhapsody. Ma il Live Aid fu molto più di una grande lineup. Fu un momento in cui il mondo – letteralmente – si fermò.

Organizzato da Bob Geldof e Midge Ure per raccogliere fondi contro la carestia in Etiopia, il Live Aid andò in scena contemporaneamente a Londra (Wembley Stadium) e Filadelfia (JFK Stadium). Due palchi, un solo pianeta. In tutto, oltre 75 star internazionali, da David Bowie a Madonna, da Elton John a U2, passando per The Who, Led Zeppelin, Paul McCartney, e persino… Phil Collins che si esibì in entrambi i continenti grazie al Concorde. Già, hai letto bene: suonò a Londra, prese l’aereo supersonico e salì sul palco anche a Filadelfia, tutto in meno di una giornata.

E poi ci furono loro: i Queen, in quella che oggi è considerata una delle più grandi performance live della storia della musica. 20 minuti perfetti. Freddie Mercury trasformò un pubblico di 72.000 persone in un’unica voce, facendoli cantare, battere le mani e vibrare come un gigantesco strumento. Se non hai mai visto quel set, fermati ora e guardalo. Ti farà venire i brividi anche se non sai nulla di rock.

Live Aid fu anche un trionfo tecnico e mediatico: trasmesso in diretta in 150 Paesi, raggiunse oltre 1,5 miliardi di spettatori, ovvero il 40% della popolazione mondiale dell’epoca. Senza social, senza streaming, senza smartphone. Solo televisione, radio e passaparola.

Il risultato? Circa 127 milioni di dollari raccolti per l’emergenza in Africa. Ma soprattutto, la prova che la musica – quando è sincera e condivisa – può fare davvero qualcosa di enorme. Non vendere, ma muovere. Coscienze, governi, cuori.

Certo, col senno di poi il Live Aid non fu perfetto. Ci furono critiche, dubbi su come furono gestiti i fondi, polemiche postume. Ma resta il fatto: per una manciata di ore, il mondo non era diviso da confini, fusi orari o lingue. Era unito da un amplificatore gigantesco e da un’idea potentissima: usare la musica non per distrarci, ma per cambiare qualcosa.

Quarant’anni dopo, con concerti sempre più sponsorizzati, filtrati, monetizzati e frammentati, ricordare il Live Aid è come guardare una vecchia fotografia di famiglia: un po’ sbiadita, forse idealizzata, ma piena di verità. Perché lì, anche solo per un giorno, la musica ha fatto davvero la sua parte. E il mondo ha ascoltato. Tutto insieme.